In vista di un futuro conclave si presenta anzitutto la domanda quale figura, quale tipo di Sommo Pontefice sarebbe ideale riguardo alla situazione attuale della Chiesa e del mondo. La questione va discussa soprattutto sullo sfondo delle esigenze della situazione dottrinale, morale e giuridica attuale.
Esaminando gli ultimi due secoli, si osserva per primo un notevole cambiamento nel modo di considerare il proprio ministero da parte dei papi, che iniziarono a vedersi non più come sovrani di uno Stato Pontificio in declino, bensì come maestri e pastori della Chiesa universale. Ben presto, pure la persona dei pontefici passò in primo piano nell’interesse della gente, sicché i papi, anche grazie alla stampa moderna, divennero conosciuti in tutto il mondo. Un contributo particolare lo diedero inoltre i numerosi pellegrinaggi presso la tomba di Pietro, resi possibili grazie allo sviluppo della rete ferroviaria europea. Così, nel corso del XIX secolo, mentre lo Stato Pontificio veniva minacciato e conquistato dal Risorgimento, si diffuse un culto piuttosto emozionale intorno alla persona del papa.
La straordinaria personalità di Pio IX e dei suoi successori contribuirono a ciò in modo determinante.
Ben presto, un‘altra conseguenza di tutto questo fu che il “Roma locuta, causa finita est”, al di là del suo significato originario, finì con l’essere considerato quasi una massima del sentire cum ecclesia.
I
Pur avendo agevolato la serrata dei ranghi dei cattolici dinanzi alla crescente ostilità nei confronti della Chiesa da parte delle società, ovvero degli Stati liberali, atei d’Europa, questi sviluppi diedero però anche inizio a un ingigantimento teologicamente discutibile del ministero e della persona del papa, conducendo poi, alla vigilia del concilio Vaticano I, a una formazione di schieramenti pregna di conseguenze.
D’altro canto, una volta posata la polvere delle lotte intorno al concilio, i dogmi sul Primato e l’infallibilità del Sommo Pontefice ebbero come conseguenza un legame più stretto, perfino emozionale, dei cattolici con il Papa, che in futuro si rivelò utile durante le due guerre mondiali e dinanzi alle dittature atee. Dall’altra parte si verificò lo Schisma (e poi pure eresie) dei cosi detti “Vecchi cattolici”.
La cosa cambiò drammaticamente dopo il concilio Vaticano II, come emerse in modo palese nell’anno di crisi 1968.
II
Ora, dunque, – proprio nella situazione attuale – anzitutto è necessaria una comprensione più approfondita del Ministerium Petrinum.
Poiché la Chiesa – e quindi anche il papato – sono realtà sia umane-terrene sia trascendenti-divine, non possono essere comprese semplicemente attraverso categorie umane-terrene, ma semmai anche per analogiam,e vanno valutate secondo i criteri corrispondenti. È proprio sulla base di questo presupposto che bisogna apprezzare il rapporto tra primato di Roma e Chiesa universale, tra centro e periferia.
Si pone così anzitutto la questione della reciproca correlazione di papa e Chiesa.
Va sottolineato con forza che il papa non è in alcun modo al di sopra della Chiesa o di fronte ad essa. Come suo capo visibile, egli è e rimane membro della Chiesa, verso la quale ha dei doveri come Servus servorum, ovvero come suo servitore supremo.
Ciò significa tra le altre cose che il Papa in nessun modo deve, ovvero può, regnare come un monarca assoluto. Nel suo agire egli non è vincolato solo alle norme dello ius naturale e dello ius divinum rivelato, bensì, in modo diverso, anche allo ius canonicum.
Il Papa non è sic et simpliciter al di sopra dei canones. Il suo agire incontra un limite laddove si tratta del “generalis status ecclesiae“, cioè il nucleo fondamentale della dottrina e della costituzione della Chiesa. Questo è la norma per tutta la legislazione ecclesiastica, “poiché esprime il continuo della verità rivelata, manifestata nella Chiesa e vincolante per ogni singolo cristiano” (cfr. Chr. Voigt-Goy, Potestas et ministerium publicum, Tübingen 2014).
È dunque questa la misura per la legislazione e l’esercizio del ministero pastorale nella Chiesa. Come fondamento di ciò, il Decretum Gratiani indica l’Apostolo Paolo, che nella sua Seconda Lettera ai Corinzi (13, 10) afferma di scrivere quell’epistola per non dovere di persona “durius agam secundum potestatem quam Dominus dedit mihi in aedificationem et non in destructionem“. Questa seconda parte del versetto vale anche per la legislazione e l’amministrazione della giustizia nella Chiesa.
Le sue parole, spesso citate nella canonistica medievale, indicano un limite essenziale per l’esercizio del ministero nella Chiesa. Esso vale anche per quanto riguarda i diritti giustamente acquisiti da terzi, che il Papa, in quanto custode supremo del diritto, non può violare.
In breve: anche il papa, quando non rispetta il diritto, può delinquere. Tuttavia, in tal caso non sarebbe possibile portarlo in tribunale poiché dal IV secolo vale: “Prima Sedes a nemine iudicatur“. Rimane comunque il diritto e il dovere della correctio fraterna, rimane il giudizio finale. Intanto, però, l’abuso di potere da parte di un papa non può essere la base del dovere di obbedienza.
Il papa, pertanto, nonostante la sua plenitudo potestatis non è affatto un princeps legibus solutus. Se in qualche singolo caso volesse agire in contrasto con la legge, servirebbe un motivo giusto e ragionevole.
A ciò corrisponde un dovere di obbedienza graduato dei membri della Chiesa, che però anche dinanzi alla legge in ultima istanza devono rispondere alla loro coscienza.
In questa luce va visto anche quel culto del papa che si è sviluppato dopo il viaggio in esilio di Pio VI. Per i francesi fu un’inaudita occasione di incontro personale con il Papa. Questo viaggio, possiamo dire, vede la nascita dell’ultramontanismo francese, e poi europeo. A tutto ciò non per ultimo contribuirono due libri. Cioè Il Trionfo della Santa Sede di Mauro Capellari e Du Pape di De Maistre, che divennero veri “bestseller”. All’entusiasmo ultramontano contribuì pure la particolare statura personale dei papi successivi.
Grottesche raffigurazioni a tinte forti del ruolo del papa in seguito sono emerse dalle accese controversie attorno al concilio Vaticano I. Su tale sfondo vanno apprezzate anche le riserve dell’opposizione conciliare riguardo alla definizione dei dogmi papali, specialmente in considerazione delle esperienze del presente.
Fino ad oggi resta quindi il compito per la teologia di precisare l’armonioso insieme dell’ius divinum
del primato petrino con quello dell’episcopato. Però sembra che la difficoltà di trovare una soluzione sia dovuta all’essere della Chiesa “un mistero della fede”.
Occorre quindi, nell’interpretare la Pastor aeternus, tenere conto del contesto ecclesiologico complessivo, ovvero del fatto che anche il ministero episcopale, proprio come il primato di Pietro, è iuris divini. La nomina di un vescovo da parte del Papa non è altro che l’attribuzione della diocesi, non il conferimento del potere docente e pastorale, che avviene attraverso il Sacramento dell’Ordine.
In questa luce va analizzato l’aumento della destituzione di vescovi par ordre de Mufti nel passato recente. Anche i papi possono commettere abuso d’ufficio.
Alla luce di codeste verità bisogna evitare ogni culto della persona del Papa e al contempo venerare la sua suprema autorità come maestro e pastore della Chiesa universale.
Appare opportuno riportarlo alla coscienza in vista di un futuro conclave, poiché la scelta dei candidati dovrebbe avvenire alla luce di simili riflessioni fondamentali. L’occasione per farlo è offerta dai concistori pre-conclave.
Sarà invece compito del conclave eleggere un papa consapevole del suo mandato apostolico, compresi i suoi limiti, nonché del suo dovere di conservare lo status generalis ecclesiae.
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