Giuseppe Rusconi
Quando Papa Francesco ha annunciato in un videomessaggio al termine del 51° Congresso eucaristico di Cebu (Filippine) che il prossimo incontro si sarebbe tenuto a Budapest nel 2020, probabilmente non immaginava di suscitare quello che oggi è un insolito livello di interesse da parte dei media internazionali. Eppure è andata proprio così: rinviato forzatamente di un anno a causa della pandemia di Coronavirus, l’evento – che si è svolto tra il 5 e il 12 settembre – ha avuto fin dall’inizio ampio risalto sui giornali e in televisione.
ATTUALITÀ E URGENZA DEL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE
Dal punto di vista pastorale, il Congresso eucaristico, posto sotto il motto “Tutte le mie fonti sono in te” (Salmo 87) e con il titolo: “L’Eucaristia: fonte della vita e della missione cristiana”, è stato di urgente attualità, legato a un’urgenza che non può più essere ignorata. Come sappiamo, in gran parte del mondo (al di fuori di Asia e Africa), la partecipazione dei fedeli alla Santa Messa è in costante diminuzione da decenni.
Da un lato, la secolarizzazione, frutto della società globale e caratterizzata dalla diffusione del relativismo, ha portato a una forte diminuzione della frequenza media delle celebrazioni eucaristiche, soprattutto in Europa. Ci sono Paesi in cui meno del 5% dei cattolici osserva il precetto festivo e dove l’indifferenza ha preso il posto del fervore. D’altra parte, la situazione creata dalla diffusione mondiale del Coronavirus ha ulteriormente ridotto la partecipazione alle Messe. Obiettivamente, in diversi Paesi le chiese sono state chiuse per molto tempo o aperte ma non per la Messa. E quando la pandemia si è riaperta, le norme statali sulla pandemia, accettate da molte chiese come una cosa ovvia o sotto costrizione, hanno fatto sì che – per precauzione – altre riducessero le presenze. Inoltre, durante i periodi di chiusura, la gerarchia cattolica ha talvolta enfatizzato eccessivamente il valore di seguire la trasmissione della Messa individualmente da casa, al punto che molti hanno dedotto – agendo di conseguenza – che la partecipazione fisica alla Messa festiva fosse sostanzialmente facoltativa. È anche difficile correre ai ripari quando qualcuno è insoddisfatto di una pratica di vita consolidata.

Ma c’è almeno un’altra ragione che ha determinato l’interesse dei media. L’evento si è svolto nella capitale ungherese, cioè in un Paese la cui politica da un decennio è determinata (con il consenso della maggior parte degli ungheresi) da Viktor Orban, un politico cristiano (calvinista, con moglie cattolica) che in molti Paesi a livello europeo è ammirato. In altri (soprattutto nelle istituzioni europee, a sinistra e tra alcuni laicisti) tanta ostilità. Il fatto è che Orban e il suo governo stanno effettivamente promuovendo (attraverso l’approvazione di norme costituzionali e leggi attuative ad hoc) l’identità nazionale che è indissolubilmente legata ai valori del cristianesimo, in particolare promuovendo il diritto alla vita e alla famiglia basata sul matrimonio tra uomo e donna, finalizzato alla procreazione dei figli. È un vero orrore per le élite “progressiste” continentali, ancora esasperate dalla recente approvazione da parte del Parlamento ungherese di una legge che mira, tra l’altro, a proteggere i minori dalla propaganda LGBT. Aggiungiamo la politica di Orban di bloccare l’immigrazione clandestina, considerata dannosa per l’equilibrio del Paese: il governo ungherese preferisce fornire aiuti concreti alle persone bisognose (i rifugiati) sul posto: Il governo ungherese preferisce aiutare le persone bisognose (i rifugiati) sul posto, come dimostra l’attività del Segretariato di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati (e non solo), che – in collaborazione con le chiese cristiane – con azioni mirate nei settori dell’istruzione, della salute e della vita, sostiene la permanenza in Medio Oriente e anche in Africa (Nigeria) di chi ha perso tutto a causa della guerra.
Tutto ciò rischia di suscitare l’interesse dei media internazionali, che seguono con attenzione il Congresso, soprattutto nella giornata conclusiva, con la presenza di Papa Francesco, ovvero colui che è considerato uno dei maggiori oppositori del cristiano dichiarato Viktor. Orban, soprattutto a causa delle visioni molto diverse sull’immigrazione (su vita e famiglia, invece, il Papa sembra concordare sulla sostanza, anche se nella forma che propone diverge, fedele alla sua strategia a volte difficile da decifrare).
Del resto, Jorge Mario Bergoglio non ha mai nascosto una certa insofferenza nei confronti del primo ministro ungherese: basti ricordare il compiacimento con cui lo ha trattato nella recente intervista alla radio spagnola Cope o durante la conferenza stampa sull’aereo di ritorno dalla Slovacchia a Roma.
L’annuncio che il Papa si sarebbe fermato solo sette ore a Budapest per poi recarsi in Slovacchia (dove sarebbe rimasto per tre giorni) ha naturalmente sollevato molte domande.
C’è chi sostiene che Jorge Mario Bergoglio abbia rifiutato non solo una visita pastorale in Ungheria, ma – per non dare l’impressione di valorizzare troppo la tappa di Budapest – anche un pernottamento nella capitale ungherese nella notte di sabato (nel qual caso avrebbe certamente guidato la processione del Santissimo Sacramento – straordinaria per numero, fervore, luci e suoni – che ha percorso 4,5 km dal Parlamento a Piazza degli Eroi). E c’è chi sostiene che l’intera visita pastorale in Slovacchia sia sempre stata finalizzata a sminuire l’importanza della tappa magiara.
Tuttavia, va notato che non è consuetudine che un Papa partecipi alla chiusura di un Congresso Eucaristico Internazionale. L’ultima volta è stata nel 2000, a Roma, con Giovanni Paolo II a chiudere l’evento. Nel 1964 e nel 1968, tuttavia, Paolo VI fece brevi apparizioni (un saluto) a Bombay e a Bogotà. Che Papa Francesco abbia almeno ceduto alle insistenze ungheresi per la sua presenza al Congresso di Budapest è già – a ben vedere – qualcosa di non scontato. Questo risultato premia almeno in parte il grande lavoro svolto dal cardinale Erdo e dai due diplomatici coinvolti.
DEL CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE DI BUDAPEST
Creati nel 1891 (iniziati a Lille, l’ottavo a Gerusalemme – il primo con un Legato Pontificio inviato da Leone XIII – il sedicesimo a Roma con Pio X), i Congressi Eucaristici Internazionali hanno lo scopo di evidenziare il ruolo dell’Eucaristia nella vita quotidiana del cristiano. Nel 1938, in condizioni storicamente difficili (poco dopo l’Anschluss dell’Austria al Reich tedesco), il congresso fu organizzato a Budapest. Il legato pontificio dell’epoca, il cardinale Eugenio Pacelli (poi Papa Pio XII), ne scrisse: “Nella meravigliosa città sulle due rive del Danubio, una folla incommensurabile proveniente da tutto il mondo, ha celebrato solennemente davanti al divino Salvatore nascosto sotto i colori del Sacramento attraverso la luce dei sacri riti, con i suoi maestosi raduni, con la sua variegata ricchezza di discorsi, devozioni e canti, con una tale manifestazione di fede e di rispetto per il nostro Redentore che non abbiamo mai visto in nessun’altra parte del mondo”. Anche in questa occasione c’è stato un altro partecipante d’eccezione: l’arcivescovo Giovanni Battista Montini (futuro Papa Paolo VI), a cui si deve un’altra pennellata dell’ambiente: “Ieri sera, una magnifica processione sul Danubio che si è protratta fino a mezzanotte, in mezzo a fantastiche miriadi di luci e di canti, e a una folla calma e raccolta”.
Eravamo in un altro contesto storico, oggettivamente drammatico per l’imminente minaccia nazista. Oggi ci troviamo di fronte a un’Europa secolarizzata, guidata da un’élite economico-finanziaria ideologicamente indifferente e spesso addirittura ostile alla religione: in ogni caso, vive come se Dio non esistesse. Anche l’Ungheria soffre dei fallimenti del processo di secolarizzazione. Eppure, alla luce del Congresso eucaristico e dei suoi lavori, il cattolicesimo magiaro ha dato prova, forse inaspettata nelle sue dimensioni, di una fervente testimonianza di amore per Cristo e per la Chiesa.
Il Congresso è stato preparato con cura e passione – in tutti i suoi aspetti liturgici, pastorali e sociali – da tutto il mondo ecclesiale per cinque anni. Un forte impulso è stato dato dal cardinale Peter Erdo, 69 anni, raffinato giurista di riconosciuta autorevolezza (è stato per dieci anni – dal 2006 al 2016 – presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa/CCEE e anche relatore generale del primo Sinodo per la famiglia), in buoni rapporti con il governo ungherese. Gli obiettivi del Congresso? Confermare pubblicamente – a testa alta – la fede, rafforzare l’identità cristiana, rafforzare la solidarietà con i bisognosi e la fratellanza ecumenica e interreligiosa. Lo stesso arcivescovo di Esztergom-Budapest ha osservato che “abbiamo bisogno della luce della fede per sentire e approfondire la nostra fratellanza con tutti i popoli, non solo nel bacino dei Carpazi”. La professione della nostra fede nell’Eucaristia deve essere coraggiosa, incoraggiante e gioiosa per tutta la nostra società”.
Dopo un simposio teologico di tre giorni a Esztergom, il Congresso si è aperto domenica 5 settembre in Piazza degli Eroi a Budapest, preceduto significativamente da un pranzo con centinaia di poveri. 28.000 i presenti, tra cui il presidente ungherese Janos Ader e la moglie (cattolica) del primo ministro Viktor Orbán, 1.200 bambini venuti per la prima comunione, 3.300 alunni delle scuole cattoliche dell’arcidiocesi, un coro di quasi mille cantori. Durante la celebrazione – dopo il saluto del cardinale Erdo – l’ex presidente del CCEE e stimatissimo cardinale Angelo Bagnasco ha detto: “La nostra voce è debole, ma riecheggia la voce dei secoli ed è segnata dal sangue dei martiri. A voi che state ascoltando, annunciamo che la nostra gioia più grande è Gesù! (…) Cari fratelli e sorelle, la Chiesa non può tacere, non può lasciarsi zittire: deve donare al volto di ogni uomo lo splendore di Cristo risorto.

In piazza, domenica 5 settembre, insieme a diversi cardinali, patriarchi, vescovi anche del Medio Oriente o di rito greco-cattolico, oltre al metropolita ortodosso russo Hilarion. Quest’ultima presenza è molto significativa. A lei si è unito il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo per la conclusione del Congresso. Le due anime ortodosse di oggi (che hanno un rapporto molto complicato tra loro) hanno così voluto testimoniare il valore dell’Eucaristia nel nostro tempo a Budapest. Se Hilarion ha tenuto una relazione il 6 settembre (in cui ha sottolineato come ortodossi e cattolici condividano la fede nella presenza reale di Cristo in questo sacramento), Bartolomeo ha portato il suo saluto l’11 settembre davanti al Parlamento, all’inizio della messa presieduta dal cardinale Erdo: in questa occasione, ha invocato con forza la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa dopo quasi mille anni di separazione. La doppia presenza ortodossa ha confermato che l’Ungheria, con la sua Chiesa cattolica, è considerata un ponte ecumenico credibile tra Oriente e Occidente.
La settimana del Congresso è stata caratterizzata da Messe quotidiane (la prima presieduta dall’arcivescovo Piero Marini, quasi ottantenne, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali, che dopo Budapest ha passato il testimone a padre Corrado Maggioni), preghiere comuni, accompagnate da mostre, concerti, numerose occasioni di carità. Tra i relatori e i testimoni, oltre al presidente ungherese Janos Ader (che venerdì 10 settembre ha raccontato tre sue personali esperienze di fede), c’erano anche cardinali come il brasiliano Joăo Tempesta (in videoconferenza), il canadese del Québec Gérald Lacroix (l’aspirazione alla pace non è un’utopia), il patriarca caldeo iracheno Louis Raphael Sako (il dramma dei cristiani in Medio Oriente è in corso da anni e l’Occidente in generale non ne è consapevole). Tuttavia, ha ringraziato l’Ungheria per l’aiuto concreto), il birmano Charles Maung Bo (in Myanmar a febbraio c’è stato un colpo di Stato militare con grandi sofferenze per i cattolici: Solo la pazienza può portare a un mondo di pace), il nigeriano John Onaiyekan (non si può ricevere l’Eucaristia con indignazione), la coreana Andrea Yeom Soo-jung (stiamo vivendo una rivoluzione antropologica anticristiana), il ceco Dominik Duka (i principi fondamentali della civiltà giudaico-cristiana sono ormai sostituiti da altri, che nascondono marxismo, maoismo e anarchismo). Il cardinale Angelo Bagnasco (italiano, ex presidente del CCEE) e Jean-Claude Höllerich (lussemburghese, presidente dei vescovi dell’UE/COMECE) hanno parlato di evangelizzazione e impegno sociale in Europa. Bagnasco ha esortato l’Europa a riconciliarsi con la propria storia e ha difeso “il diritto di ogni credente a partecipare al dibattito pubblico”; Höllerich ha respinto la pretesa di escludere dall’Unione Europea chi non accetta la rivoluzione antropologica (derivata dal ’68) con l’ideologia gender e allo stesso tempo ha criticato un’Europa “chiusa, timorosa, egoista” per quanto riguarda le migrazioni. Il cardinale Robert Sarah (così come il cardinale Michael Fitzgerald l’8 settembre, giorno della Natività di Maria) ha celebrato una santa messa (nell’omelia ha sottolineato la necessità di tornare all’Eucaristia contro l’idolatria materialista dei nostri giorni). Altri Cardinali partecipanti? Josip Bozanic (croato) e Baltazar Enrique Porras Cardozo (venezuelano). Era presente anche il cardinale patriarca maronita libanese Béchara Boutros Raï che, in un’intervista al media cattolico Magyar Kurír, ha sottolineato l’importanza della presenza delle Chiese orientali al Congresso (circa 40 vescovi hanno celebrato una liturgia bizantina nella cattedrale di Santo Stefano re). E fu molto positivamente impressionato dal fervore di fede del popolo ungherese. Il patriarca melchita siriano Youssef Absi ha presieduto la divina liturgia del 9 settembre, frutto dell’incontro dei cinquanta vescovi greco-cattolici d’Europa.
Un momento chiave della settimana è stata la processione eucaristica con il Santissimo Sacramento la sera di sabato 5 settembre, con oltre 200.000 partecipanti. Il cardinale Erdo ha ribadito in un’intervista al già citato media Magyar Kurír: “È stata un’esperienza fantastica, con una folla di centinaia di migliaia di persone. Le persone pregavano, cantavano, meditavano. Non si è trattato di una marcia o di una dimostrazione, ma di un vero e proprio evento spirituale.
DOMENICA 12 SETTEMBRE: ARRIVA IL PAPA DOMENICA 12 SETTEMBRE: ARRIVA IL PAPA…

Papa Francesco è partito da Roma alle sei del mattino – seguito dai capi della Segreteria di Stato e dai cardinali Leonardo Sandri (Chiese orientali) e Miguel Angel Ayuso Guixot (dialogo interreligioso) – ed è arrivato a Budapest prima delle 20, accompagnato dal cardinale Pietro Parolin e dall’arcivescovo Richard Gallagher, per incontrare per la prima volta il presidente Janos Ader, il primo ministro Viktor Orbán e il vice primo ministro Szolt Semjen. Nell’atteso vertice – durato quaranta minuti, dieci in più del solito – non si è parlato di politica migratoria (la diplomazia ha funzionato bene), ma del ruolo della Chiesa nel Paese (9,7 milioni di abitanti, 61% di cattolici), dell’impegno per l’ambiente, della difesa e promozione della famiglia. È stato soprattutto il Presidente Ader a illustrare le questioni al Papa. In particolare, per quanto riguarda la famiglia, sono stati presentati i risultati incisivi già ottenuti grazie alle politiche governative: in un decennio i matrimoni sono aumentati del 30%, i divorzi sono diminuiti del 25% e gli aborti (del 30%), il tasso di natalità è in costante aumento. Dopo che sono stati portati all’attenzione dell’ospite i continui e feroci attacchi di Bruxelles all’Ungheria sui temi della famiglia (anche a causa della recente legge per la protezione dei minori dalla propaganda LGBT), il Papa ha reagito dicendo: “La famiglia è padre, madre, figli, punto! Il primo ministro Viktor Orbán ha anche chiesto al Papa “di non lasciare che il cristianesimo perisca in Ungheria”.
Successivamente, Francesco ha incontrato i vescovi ungheresi e poi i rappresentanti del Consiglio Mondiale delle Chiese e di alcune comunità ebraiche. Con i vescovi, ha insistito sulla necessità di preservare le proprie radici religiose e allo stesso tempo di “guardare al futuro e trovare nuovi modi di annunciare il Vangelo”. Le nuove realtà multiculturali possono “spaventare”, ma secondo lui sono “una grande opportunità per aprire i nostri cuori al messaggio del Vangelo”. Si è rivolto ai rappresentanti ecumenici e all’ebraismo in particolare, menzionando la minaccia dell’antisemitismo “che esiste ancora in Europa e altrove”. È un fusibile che deve essere bruciato”.
In Piazza degli Eroi, davanti a circa 250.000 persone (molte delle quali non pre-registrate), il Papa ha poi presieduto la Santa Messa e la recita dell’Angelus. Di quest’ultimo va ricordato il riferimento alla Croce come “ponte tra il passato e il futuro”: “Il sentimento religioso è la forza viva di questa nazione, così attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nella terra (…) solleva e allarga le sue braccia a tutto il mondo”, ha aggiunto. Per la prima volta, Papa Francesco ha citato tre espressioni in ungherese: “köszönöm” (grazie), “Isten éltessen” (auguri, nel senso di Dio ti benedica), Isten, áldd meg a magyart! (Dio benedica gli ungheresi!). L’accoglienza del Papa è stata festosa e ha raggiunto l’apice quando Francesco ha usato la lingua ungherese.

LEGGI: Il prossimo articolo è in fase di stesura, sarà disponibile a breve✏️
IL PAPA IN SLOVACCHIA CYRILL E IL METODO ROMANO. E IL SIGNIFICATO DELLA CROCE
Perché il Papa ha voluto visitare la Slovacchia e invece si è fermato a Budapest per poche ore in Ungheria (come ha voluto sottolineare più volte)? È difficile rispondere. C’è chi, come già detto, ha pensato a una sorta di cattiveria nei confronti dell’Ungheria di Orban. C’è chi ha ipotizzato che “Budapest è a due ore di macchina da Bratislava” (vedi conferenza stampa sull’aereo di ritorno dall’Iraq) suggerito da un “collaboratore” abbia trovato il Papa spontaneamente consenziente. La Slovacchia è stata evangelizzata dai santi Cirillo e Metodio, quando la cristianità era ancora indivisa: un’ottima occasione per sostenere l’ecumenismo. C’è chi ipotizza una forte simpatia politica per la nuova e giovane presidente della Slovacchia, l’ambientalista di sinistra Zuzana Caputová. C’è chi fa notare che il Papa, in Slovacchia, avrebbe potuto affrontare i suoi temi preferiti senza creare imbarazzi diplomatici. C’è chi sostiene che il Papa, sensibile com’è alle grandi manifestazioni popolari di pietà religiosa (di cui è stato privato negli ultimi due anni a causa del Coronavirus), abbia voluto prolungare la visita fino al 15 settembre, giorno del pellegrinaggio nazionale a Saštín, alla Basilica di Nostra Signora dei Sette Dolori, patrona della Slovacchia.
Va notato che la partecipazione slovacca è stata inferiore alle aspettative del giorno precedente (ad esempio al santuario di Saštín). Questo potrebbe essere dovuto alla richiesta iniziale di un doppio certificato di vaccinazione per poter partecipare alle Messe e agli incontri papali. Con l’allentamento delle certificazioni previste, i numeri sono aumentati, ma non in modo massiccio.
Gli incontri in Slovacchia (5,4 milioni di abitanti, 73% cattolici) sono iniziati nel pomeriggio del 12 settembre con l’incontro ecumenico a Bratislava, presso la Nunziatura Apostolica. Nel discorso del Papa non poteva mancare un forte riferimento ai “santi fratelli evangelizzatori di Salonicco”, Cirillo e Metodio, “testimoni di una cristianità ancora unita e infiammata dall’ardore dell’annuncio”: “È difficile chiedere un’Europa più feconda attraverso il Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra di noi nel continente e senza prenderci cura gli uni degli altri”. È seguita una conversazione privata con i gesuiti slovacchi.
Lunedì 13 settembre, il primo incontro – sempre a Bratislava – con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. Anche in questo caso si fa riferimento a Cirillo e Metodio che “si riconoscevano come tutti e cercavano la comunione con tutti: slavi, greci e latini”. Poi l’incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi, seminaristi e catechisti nella cattedrale di San Martino: “Non abbiate paura di formare le persone a un rapporto maturo e libero con Dio. Questa relazione è importante. Questo può darci l’impressione di non controllare tutto, di perdere forza e autorità; ma la Chiesa di Cristo non vuole dominare le coscienze e occupare spazi. Nel pomeriggio, visita privata al Centro di Betlemme delle Missionarie della Carità, dopo l’incontro con la comunità ebraica: “Il nome di Dio è stato disonorato: nella follia dell’odio, durante la Seconda Guerra Mondiale, sono stati uccisi più di centomila ebrei slovacchi. (…) Quanti oppressori hanno dichiarato: “Dio è con noi”; ma erano loro a non essere con Dio (…) Anche oggi non mancano idoli vani e falsi che disonorano il nome dell’Altissimo.
Messa (la “divina liturgia” bizantina) a Prešov martedì 14 settembre. Nell’omelia alcuni passaggi molto forti (e anche controversi) sul significato della Croce: “Come possiamo imparare a vedere la gloria nella Croce? (…) Ci sono innumerevoli crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma è inutile se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e apriamo il nostro cuore (…) Non riduciamo la Croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di importanza religiosa e sociale. Dopo il pranzo a Košice, presso il seminario maggiore di San Carlo Borromeo, l’incontro nel quartiere della città di Lunik IX con i Rom (più di quattromila vivono in questa zona periferica). “Fratelli e sorelle, troppo spesso siete stati oggetto di pregiudizi e giudizi spietati, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori. (…) Ma dove c’è attenzione personale, dove c’è cura pastorale, dove c’è pazienza e concretezza, i frutti arrivano (…) Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura, prima o poi esplode la rabbia”. Alla fine del pomeriggio, l’incontro con i giovani si è svolto presso lo stadio Lokomotiva di Košice. Ai circa 30.000 presenti, Francesco ha ricordato che “la vera originalità oggi, la vera rivoluzione, è ribellarsi alla cultura del provvisorio (…) Non siamo qui per tirare avanti, ma per fare della vita un’impresa”. Al termine, prima del rientro a Bratislava, il saluto del Papa al cardinale Jozef Tomko (unico cardinale slovacco), novantasettenne, il più anziano del Collegio cardinalizio.
Mercoledì 15 settembre, un momento di preghiera privata con i vescovi e la Messa di chiusura nel Santuario nazionale di Saštín: “Davanti a Gesù non si può rimanere tiepidi, con “un piede in due scarpe” (…) Non si tratta di essere ostili al mondo, ma di essere “segni di contraddizione” nel mondo. Cristiani che sanno mostrare la bellezza del Vangelo con la loro vita. Che sono tessitori di dialoghi in cui le posizioni si irrigidiscono.
THE AIRPLANE PRESS CONFERENCE

Poi il ritorno a Roma, con la consueta conferenza stampa in aereo. Parlando della tappa a Budapest, Papa Francesco ha preannunciato la possibilità di una visita pastorale in Ungheria, prima o poi (“l’anno prossimo o un altro”). Nella stessa risposta, ha anche osservato che “alcuni interessi, forse non europei, stanno cercando di usare l’Unione europea per una colonizzazione ideologica e questo non è giusto”. In un’altra risposta – sull’incontro con Ader, Orban e Semjen – è entrato in dettagli che sono già stati menzionati.
A chi poi gli ha chiesto cosa pensasse della risoluzione approvata nei giorni scorsi da una netta maggioranza del Parlamento europeo che chiede il riconoscimento del cosiddetto “matrimonio omosessuale” in tutta l’UE, Jorge Mario Bergoglio ha risposto sottolineando che il matrimonio è un sacramento e la Chiesa non ha il potere di cambiarlo. Lo Stato, ha proseguito, ha il potere – giustamente, sembra di capire – di “sostenere civilmente” le unioni omosessuali: l’esempio portato è quello dei Pacs francesi. Va notato che Francesco con questa esternazione (che segue una certa oscillazione di valutazioni soprattutto riguardo alle “unioni omosessuali”) si discosta notevolmente da quanto detto e ripetuto in più occasioni sui temi affrontati da Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger (già Prefetto della Dottrina della Fede), smentendo anche le grandi manifestazioni popolari spagnole, francesi e italiane degli ultimi anni. Joseph Ratzinger illustra la profonda opposizione al cosiddetto “matrimonio omosessuale” nel suo recentissimo libro “La vera Europa” (ed. Cantagalli) affermando: “Il concetto di “matrimonio omosessuale” è in contraddizione con tutte le culture dell’umanità che si sono succedute finora (…). (…) La comunità di base non è mai stata messa in discussione, il fatto che l’esistenza dell’uomo – alla maniera del maschio e della femmina – è ordinata alla procreazione, così come il fatto che la comunità dell’uomo e della donna e l’apertura alla trasmissione della vita determinano l’essenza di ciò che viene chiamato matrimonio. (…) Anche l’uomo ha una “natura” che gli è stata data, e la violazione o la negazione di questa porta all’autodistruzione. È proprio questo il caso della creazione dell’uomo come maschio e femmina, che viene ignorata nel postulato del “matrimonio omosessuale”. Parole chiare, argomenti importanti che sono condivisi anche al di fuori del mondo cattolico, tra coloro che non accettano che la natura umana possa essere violata. Si è concluso così un viaggio molto atteso di Papa Francesco, ricco di momenti di interesse, non solo pastorale in ogni caso. Il Papa è apparso in buona forma fisica, nonostante l’importante intervento chirurgico subito il 4 luglio.
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